venerdì 15 ottobre 2010

Velluto Blu



di David Lynch
con Kyle MacLachlan, Isabella Rossellini, Dennis Hopper, Laura Dern

Se c’è una costante nella nemmeno troppo sconfinata filmografia di David Lynch è sicuramente quella di essere per lo più snobbato dalla critica per ogni sua opera. Nonostante abbia firmato indiscussi capolavori come Eraserhead e Elephant man, dato vita insieme a Mark Frost ad uno dei migliori telefilm di sempre, Twin Peaks, e divenuto un vero e proprio regista di culto, il suo rapporto con la critica cinematografica è stato sempre piuttosto turbolento. Una storia di incomprensioni, in realtà, perché è certo che Lynch ha un modo di fare cinema tutto suo. I suoi film hanno per soggetto incubi divenuti realtà (il bambino mostro di Eraserhead), temi difficili come le deformazioni fisiche in Elephant man, plot enigmatici (Mullholland Drive) o addirittura assenti (INLAND EMPIRE) e perfino un road movie il cui protagonista è un vecchio che attraversa gli Stati Uniti a bordo di un tagliaerba (Una storia vera). Il suo cinema rappresenta perfettamente la perdita della realtà e non solo: Lynch cuce addosso ai suoi personaggi una caratterizzazione psicologica così credibile che permette, nonostante l’assurdità delle situazioni rappresentate, di capire al meglio il loro animo, mentre il continuo bombardamento di visioni oniriche, sogni, distorsioni, mostri, incarnazioni del bene e del male, meandri oscuri, costringe lo spettatore a lasciarsi trasportare dalla bellezza delle immagini, dal susseguirsi di scene apparentemente inspiegabili. In questo elenco di tratti che non faccio fatica a definire marasma, trova posto anche una pellicola leggermente più convenzionale - ma non per questo ordinaria - che è Velluto Blu.

Velluto Blu è il quarto film di Lynch, 1986, ed è a tutti gli effetti un thriller ambientato in una consueta cittadina del nord ovest americano direttamente tratta dall’infanzia di Lynch stesso. Dai primi fotogrammi viene presentata la cittadina ritratta come in una cartolina degli anni ’50, nella sua normalità e ordinarietà. L’elemento che fa da cardine all’intero film è il ritrovamento da parte del protagonista (un grandissimo Kyle MacLachlan) di un orecchio umano in mezzo ad un campo. L’accadimento trasporta improvvisamente il film nell’atmosfera disturbata di un thriller torbido e ossessivo: dalle vaghe venature di commedia romantica all’americana (con tanto di bionda più desiderata del liceo fidanzata col giocatore di football, bionda perfettamente interpretata da Laura Dern) viste all’inizio, il ritrovamento dell’orecchio, come fosse un passaggio dimensionale, permette a Jeffrey Beaumont (Kyle MacLachlan) di scoprire i lati più oscuri della sua cittadina. Verrà coinvolto in un rapimento dove a pagarne le conseguenze è una Isabella Rossellini (Dorothy Vallens nel film) che subisce le violenze psicologiche e sessuali di quello che probabilmente è il personaggio migliore del film e forse uno dei più memorabili ruoli del mai troppo compianto Dennis Hopper. Dennis Hopper presta il volto a Frank Booth, gangster violento, disturbato e dalla parolaccia facile, vera e propria incarnazione del male e lato oscuro del film.

Chiara intenzione di Lynch era di immettere in un contesto decisamente convenzionale (cittadina ai limiti della noia, adolescente irrequieto ecc) il veleno disturbante della criminalità che nessuno ammette, una cattiveria incarnata magistralmente dal ghigno sempre inquietante di Frank/Hopper e da quella sottomissione masochistica di Dorothy/Rossellini che, per quanto possibile, è ancora più disturbante, disgustosa quasi. Frank rapisce il marito e il bambino di Dorothy facendola diventare vittima delle sue perversioni (celebre la frase di Frank: Cazzo, non guardarmi! mentre la costringe ad un atto sessuale sterile e sporco) e Dorothy a sua volta trova sfogo in quel ragazzo, Jeffrey, che si introduce in casa sua per spiarla, dopo averla vista cantare Blu Velvet in un locale. A casa sua Jeffrey scopre che la vestaglia della donna (di velluto… blu) è lo strumento feticista che usa Frank per eccitarsi e da quel momento in poi il brano Blu Velvet (più volte ripetuto) acquista una precisa valenza: ricorda allo spettatore quel malessere provato da Dorothy mentre viene schiavizzata, malmenata ed umiliata.

Caso raro nella filmografia di Lynch, il lieto fine apparentemente zuccheroso: Sono tornati i pettirossi, dice Jeffrey citando le parole dette in precedenza da Sandy (Laura Dern) secondo cui tali uccelli sarebbero simbolo di pace, catarsi e di purificazione dai mali del mondo.

Perché rivederlo?

Non solo perché è un thriller diverso, che necessita attenzione e che coinvolge, ma anche perché, essendo il film più accessibile di David Lynch, potrebbe spingervi a recuperare anche gli altri suoi lavori e scoprirvi interessati ad un regista visionario, amante di simbologie ed enigmi e che fa sognare e pensare. Un regista assolutamente non ordinario.