martedì 29 aprile 2008

Deep Purple



"The Battle Rages On...", 1993


Questa più che una recensione vuole essere una considerazione su di un disco personalmente epocale che ha sancito la fine di un periodo per un gruppo importante ed influente sul mondo del rock come i Deep Purple. Fine di un periodo perchè il chitarrista storico, un certo Ritchie Blackmore, lasciò il gruppo a metà del tour promozionale del disco, costringendo i Profondo Porpora ad assumere un chitarrista mediocre come Joe Satriani per suonare nelle date giapponesi.


E questo era solo l'epilogo. In principio il disco doveva essere cantato da Joe Lynn Turner, voce dei Rainbow più hard del passato nonchè vocalist del modesto "Slaves & Masters" dei Deep Purple del 1990. Il disco era stato apprezzato dai fan di vecchia data dei Purple, ma distrutto dalla critica di settore che lo aveva etichettato come successore mediocre del capolavoro "Bent Out Of Shape" (1983) dei Rainbow. Le sonorità infatti erano molto simili (hard rock elaborato con grande piglio melodico) e i componenti dei Purple (a parte Blackmore), insoddisfatti del risultato, premevano per una reunion della Mark II (quella storica di "Made In Japan" e di tutti gli altri capolavori porpora). Ciò significa riportare nei ranghi il grande Ian Gillan, impegnato in una deludente carriera solista, e quindi ricominciare con i litigi con l'intransigente Blackmore. Quest'ultimo era particolarmente contrario al suo rientro tuttavia, sentite le sessioni di prova con la voce di Gillan sui brani nuovi, si dovette convincere che il disco poteva diventare un capolavoro.


E così fu. L'intero album venne risuonato e adattato al timbro di Gillan. La produzione, curata per lo più da Roger Glover, era impeccabile; le sonorità erano più moderne e i brani sembravano essere uno più bello dell'altro. Blackmore compì un lavoro di chitarre impressionante, con riff e assoli di una bellezza incredibile (basta ascoltare la title track per farsene un'idea) il tutto coadiuvato da una tecnica (come sempre) impressionante da parte degli altri del gruppo (Ian Paice e Jon Lord sono sempre grandi). Brani tiratissimi come "Nasty Piece Of Work", "Talk About Love" e altri più bluesaggianti come "Ramshakle Man" e "Lick It Up" sono tra le prove più interessanti. Un brano come "Anya", dall'intro arabeggiante, nonostante riprendesse sonorità care al Blackmore dei Rainbow, possedeva un'anima porpora dall'indubbio fascino. Ogni altro brano del disco è un piccolo capolavoro a sè. Se si pensa che il disco venne registrato in un clima interno non proprio sereno (Blackmore e Gillan praticamente non si sopportavano) il risultato è ancora più impressionante. All'uscita del disco i fan entrarono praticamente in delirio, inneggiando al miracolo (il rientro di Gillan) e grazie al recupero di sonorità più classiche (continui rimandi ai suoni degli anni 70), l'album divenne automaticamente una pietra miliare del genere.

Verso la fine del tour del 1993 Blackmore, stufo dei continui litigi, lasciò il gruppo in balia di se stesso (ora non è perchè io lo adoro alla follia, ma il motore del gruppo era lui...) e riformò (per un disco) i Rainbow. I Deep Purple finirono il tour con Satriani (concerti documentati da diversi bootleg... veramente un lavoro pessimo da parte del pelatissimo chitarrista...) e poi nel 1996 decisero di ridare un senso all'onorevole nome del gruppo arruolando Steve Morse alla chitarra (suggerito da Satriani, l'unica cosa utile che fece al gruppo...) e registrando un disco stupendo, "Purpendicular".


Voto: 10/10
Calcolando che nel 1993 girava un sacco di merda (il grunge, l'heavy metal), questo disco era un vero e proprio tocca sana per i rockettari di mestiere. Non c'è niente che non vada, tutto è perfetto, tutto il gruppo suona in maniera impeccabile, i brani sono bellissimi e diciamolo, Blackmore ha suonato veramente da dio.

martedì 22 aprile 2008

Eric Clapton


"One More Car, One More Rider", 2001

Nel 2001 Manolenta, dopo anni e anni di dischi sinceramente mediocri, pubblica il tanto atteso "Reptile" e finalmente si torna al blues di tanti anni fa. Il disco non è tra i suoi migliori (ormai i capolavori dei 70 sono belli che andati), tuttavia, tra i solchi dell'album, si poteva cogliere questa voglia di tornare a suoni semplici e diretti che nei dischi precedenti mancava.

E poi esce il live. Questo concerto è il sunto di tutta la carriera di Manolenta, dai periodi pop (troppi...), passando per il blues e arrivando al rock. Di Clapton si possono adorare i dischi in studio degli anni 70, superlativi secondo me, possono piacere quelli più soft degli anni dopo, ma se c'è una cosa che accomuna tutta la carriera del prode sono i live. Personalmente credo che tutti i suoi concerti, una volta messi su vinile (o cd) siano dei veri capolavori perchè dal vivo, Clapton, ci ha sempre saputo fare.

La cosa che mi ha sempre lasciato perplesso di questo doppio dal vivo è l'inizio: sei brani acustici in apertura. Non è che non condivido la scelta, anzi, sono brani bellissimi ("Tears In Heaven"!), tuttavia metterli tutti quanti in fila, all'inizio di un live (quando i primi brani dovrebbero essere quelli che danno la carica) piuttosto che sparsi, mi pare discutibile. Tra l'altro tra questi brani c'è anche "Bell Bottom Blues", uno dei pezzi più belli di Clapton (dai tempi di "Layla") che in veste elettrica avrebbe meritato sicuramente di più. Sul primo disco compare anche "River Of Tears" (brano estratto dal sottovalutato "Pilgrim") che è sicuramente l'esecuzione migliore, sia per quanto riguarda la parte strumentale che per quella interpretativa. Quasi dieci minuti di brano, una ballatona lenta e struggente, con assolo di chitarra del miglior Manolenta e una voce veramente da brivido. Ovviamente merito, oltre che del nostro, anche degli ottimi musicisti che lo accompagnano: il sempiterno Billy Preston agli Hammond, Nathan East al basso e un grandissimo e forsennatissimo Steve Gadd alla batteria. In particolare quest'ultimo mi ha colpito per l'esecuzione ultra-tecnica ma mai invadente, di una precisione chirurgica. Posso assicurare che su "Sunshine Of Your Love" non si rimpiange neanche Ginger Baker.
Il secondo disco presenta per lo più i classici del passato di Clapton. Riprende i Cream ("Badge", "Sunshine Of Your Love"), le colonne portanti del blues ("Hoochie Coochie Man", "Have You Ever Loved A Woman?") e i brani di "Slowhand" ("Cocaine", "Wonderful Tonight"). Da segnalare in particolare "Layla", qui in una delle sue migliori esecuzioni. Il tutto è chiuso da una stupenda interpretazione di "Over The Rainbow" che certamente non ha bisogno di presentazioni.

Voto: 8/10
Nel complesso un live veramente emozionante, non ai livelli di "Was Here" del '75 e nemmeno di "Just One Night" del '79, ma sicuramente tra i migliori della sua carriera. Se non fosse stato per l'inizio abbastanza flemmatico (i brani acustici), sarebbe stato addirittura migliore.

domenica 6 aprile 2008

Non Pensarci



di Gianni Zanasi, con Valerio Mastrandrea, Anita Caprioli, Giuseppe Battiston


Non sono un grande appassionato di cinema moderno all'italiana. Anzi, specifico che lo considero veramente poco e i film tratti dai capolavori di Moccia parlano benissimo da soli. Tuttavia, bisogna anche ricordare che la tradizione della commedia italiana è veramente prestigiosa e nomi come Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Vittorio Gassman, Totò, Gigi Proietti fanno lettaralmente venire la pelle d'oca. Nonostante tali nomi, il cinema italiano è andato pressochè alla deriva, tanto che ormai i registi nostrani campano sui cinepanettoni natalizi (che tutto sono tranne cinema) e le commediole romantiche per ragazzine.


Poi fortunatamente, ogni tanto, escono questi film che passano lettaralmente inosservati al grande pubblico, attirando fan di questo e quell'attore o magari perchè il regista ci ispira fiducia. Non Pensarci fa parte di questa categoria: niente pubblicità in tv (se non qualche secondo di trailer su Coming Soon), poche interviste agli attori, nessuna considerazione da parte dei critici. Personalmente lo sono andato a vedere perchè ho sempre adorato Valerio Mastrandrea, protagonista della pellicola, considerandolo uno dei migliori attori/comici del nostro paese. Diciamo che sono andato a vederlo per farmi quattro risate dai. E poi mi sono ritrovato a vedere un film con i controfiocchi dove è vero che la trama era il solito polpettone all'italiana (tragedie, disoccupazione, tradimenti ecc) ma curata talmente tanto sull'aspetto ironico e realista che, alla fine, ci si poteva riconoscere nei personaggi e provare dei veri sentimenti verso di loro.


Il film nasce come un inno al fancazzismo più puro dove il protagonista Valerio Mastrandrea/Stefano Nardini, musicista sfigato, se ne torna dai genitori perchè la vita lo ha deluso più del dovuto e cerca il nido sicuro dal quale si era staccato e dove sicuramente avrebbe trovato riscatto. Si torna quindi alla famiglia, al paese d'origine, ai suoi luoghi comuni e soprattutto alla sua chiusura verso il mondo vero, il "di fuori" che Stefano cercava da giovane. Troverà qualcosa da fare, è vero, pure troppo, e si dipanano allora tutte le vicende tragicomiche del film, che tengono incollato lo spettatore sulla poltrona facendolo sì ridere (scene epiche all'acquario, dove Stefano si incazza letteralmente coi delfini!) ma soprattutto riflettere. Un film che parla di una famiglia retta dalle bugie che si raccontavano a vicenda per poter essere felici, esemplare, in questo contesto, la frase verso il finale del protagonista che, di fronte all'ennesima rivelazione da parte della madre, riassume tutto il senso del film "ma non era meglio quando ci dicevamo tutte quelle bugie? Non era meglio quando ci riempivamo di cazzate?"


Voto: 10/10
Non sono riuscito a trovargli difetti evidenti. Amaro in certi punti, assolutamente comico in altri. Ogni attore da il meglio di sè. Grandissima prova di come il cinema italiano di qualità esiste in queste pellicole di nicchia.