sabato 28 giugno 2008

Uriah Heep



"Wake The Sleeper" 2008


Disco nuovo per gli Uriah Heep, a dieci anni di distanza dal notevole Sonic Origami, che ne ripercorre le sonorità accentuando le asperità e la complessità che caraterizza la band dall'inizio della loro non proprio esaltantante carriera. Perchè, lo dico con tutta tranquillità, gli Uriah Heep, una delle mie band preferite in assoluto (vengono poco dopo i Sabbath e i Purple) hanno fatto dischi fantastici per... tre anni, dal 1970 al '73, anno del famoso Live. Dopo di che si sono ripetuti più degli AC/DC, si sono sbavati addosso (Sweet Freedom, 1973), hanno copiato i Blue Oyster Cult (Return To Fantasy, 1975), cadendo in un hard rock rozzo e dozzinale (Fallen Angel, 1978).


Fottendosene altamente di tutto ciò, l'unico membro originale, il pacioso Mick Box, chitarrista, ha portato avanti il suo credo dickensiano (Uriah Heep è un personaggio di David Copperfield) sfornando periodicamente dischi uno più uguale dell'altro (Raging Silence, 1989 e Different World, 1991 sono uguali? Si), con lo stesso sound degli anni 70: Mick Box è rimasto al 1972, a Demons & Wizards e ad ogni disco prova a bissare il successo di quell'anno, con scarsi risultati purtroppo. Come dice la critica gli Uriah Heep sono un gruppo veramente inutile oggigiorno, continuano a sfornare dischi che di interessante non hanno nemmeno più le copertine (Rolling Stone, luglio 2008).


Fortunatamente ci siamo noi fan che ce ne sbattiamo con moderazione di tutte ste cazzate e ci godiamo l'ennesimo disco degli Uriah Heep, che sarà pure uguale al precedente ma almeno è meglio delle puttanate che escono con nomi tipo Dream Theater e schifezze protoprog varie.


Permettetemi di dire che Wake The Sleeper è un grand'album. A parlare non è il fan ciecato degli Heep, bensì un critico obiettivo che sa cos'è l'hard rock. Poteva andare peggio, molto peggio. Invece quest'album possiede potenza/possenza e sgorga energia da tutti i pori. Basta ascoltare la title-track che apre il disco, un ottimo heavy metal che ricalca perfettamente lo stile del gruppo, con la chitarra wah di Box assoluta protagonista. Gli altri brani riprendono le sonorità settantine in realtà mai abbandonate: l'ottima Overload non si discute, sembra essere uscita dal periodo d'oro della band. Bernie Shaw alla voce compie un ottimo lavoro. Non imita David Byron (almeno non troppo) ma continua perfettamente il lavoro melodico cominciato da John Lawton negli anni 70, ovvero una voce potente e melodiosa, che non stanca e soprattutto non annoia. Ai più affezionati byroniani forse mancheranno gli urletti strizzapalle ma devo dire che nel sound di questo disco avrebbero altamente cozzato. In Light Of A Thousand Stars torna protagonista l'hammond che ai bei tempi fu di Ken Hensley e ora è suonato in maniera abbastanza anonima da Phil Lanzon. Lavora di accompagnamento, tappeti sonori non proprio eccelsi, senza prendere mai posizione. Ma d'altronde il suono della band da almeno vent'anni a questa parte è completamente in mano a Mick Box, e si sente. Ghost Of The Ocean è uno dei migliori brani del disco, un bel rock'n'roll suonato in maniera veramente divina, con le complessità vocali cui gli Heep ci hanno abituato e un bel crescendo chitarristico verso il finale che sfocia in un ritmo sincopato tagliato con la motosega e un finale a doppia cassa dove risalta la chitarra wha di Box, gran bel brano. Angels Walk With You è la classica americanata (gli Heep sono inglesi). Una melodia che potrebbe essere cantata dal peggiore Joe Lynn Turner (quello dei disch solisti, Rescue You...) che però improvvisamente cambia prendendo un incedere progressive con una parte strumentale, dove finalmente vien fuori l'hammond, veramente eccelsa! Il disco si chiude con Shadow, hard rock dal riff granitico e War Child, carnevalata hard, forse il brano più debole dell'intera produzione.


Voto: 8/10
Mi fanno incazzare i critici che detraggono a priori gli Heep (e tutti i vecchi gruppi) solo perchè fanno ancora dischi. Wake The Sleeper è un disco di un'onestà disarmante: è HARD ROCK suonato coi controcoglioni, senza tanti arzigogoli. Forse non sarà la fiera dell'originalità ma i gruppi moderni dovrebbero solo che incanarsi dinanzi a tanta magnificenza e imparare, con un pò di modestia, a suonare come i maestri.


ps: la copertina fa schifo... si vede che non le disegna più Roger Dean...

venerdì 13 giugno 2008

Motorpsycho



"Little Lucid Moments" 2008


Inserisco dubbioso il cd nello stereo. Tutti mi parlano bene di questo gruppo norvegese. Saranno così bravi? Per quanto mi riguarda gli unici gruppi moderni per i quali mi sono veramente sprecato sono stati i Mars Volta e i Mammatus. I Motorpsycho vivono nel circuito underground dal 1990 e io ne ho sentito parlare solo con l'uscita dell'ultimo album. Secondo molti il loro capolavoro. Non conoscendo gli altri dischi della loro sconfinata discografia mi limiterò a parlare brevente di questo album.


Beh, la prima reazione è stata: CAZZO! Possibile che mi sono sfuggiti per tutto questo tempo?!? Come mai non mi sono mai accorto di loro?

Questo disco è veramente impressionante: quattro brani (come si faceva una volta, la title-track dura 22 minuti) di musica veramente grandiosa. Parlare di un genere è abbastanza complicato: con i Mars Volta condividono lo spirito sperimentale, ma la loro musica è molto più semplice e diretta. Diciamo che di base è hard rock. Hard rock che poi si allarga, raggiunge la psichedelia (nella title-track), il progressive, il noise (She Left On The Sun Ship), l'acid rock e, perchè no, anche un art rock alla Van Der Graaf Generator, attraverso virate mai scontate e accurate. Niente virtuosismi eccessivi (i Mammatus sono molto più bravi a suonare) anche se il livello medio non è per niente male.


Voto: 9/10
La recensione non è accurata ma ci tenevo a riportare le impressioni suscitate dal disco mentre lo ascoltavo la prima volta. E' veramente un gran bell'album, raro di questi tempi. 9 perchè alcuni echi post/rock anni 90 non mi sono piaciuti, altrimenti era perfetto.

giovedì 12 giugno 2008

Hendrix is God and in Clapton we trust



































Chiunque tenti un approccio al mondo della chitarra si trova inevitabilmente di fronte due grossi nomi con i quali fare i conti: Jimi Hendrix e Eric Clapton. Anche chiunque approdi nel mondo del rock, anche solo per sbaglio, sa che le colonne portanti del genere sono un paio di canzoni come Voodoo Chile (Slight Return) e Layla.

Il primo, Hendrix, è americano, di Seattle per la precisione, anche se il vero battesimo avviene proprio in Inghilterra in un periodo (il 1966) in cui, stranamente, il blues americano, quello vero diciamo, viene completamente "rubato" e fatto proprio dagli inglesi che, indubbiamente, lo suonavano meglio (basta guardare i Rolling Stones). Fulgido esempio di questa tendenza è un album storico: Beano, il primo disco dei Blues Breakers di John Mayall con un allora semi sconosciuto Eric Clapton alle chitarre. Hendrix nel 67, supportato da Chas Chandler degli Animals, viene introdotto nell'ambiente blues inglese e il resto è storia.

a allora il luogo comune maggiore è il reputare i due grandissimi chitarristi come antagonisti l'uno dell'altro. Niente di più sbagliato. Hendrix era un grande estimatore di Clapton, andava letteralmente in delirio per i Cream tanto che spesso, nei suoi concerti con gli Experience, riproponeva Sunshine Of Your Love. Proprio durante la registrazione di Layla and Other Assorted Love Song dei Derek and the Dominos, Hendrix morì di overdose, a quel punto Clapton decide di includere una sua personale reinterpretazione di Little Wing, canzone che nel contesto assume un significato ancora più profondo. Lo stesso Clapton compare nel film Jimi Hendrix, di Peter Colbert, in una commovente intervista in cui parla della profonda amicizia e del rispetto che legava i due chitarristi.


Clapton era il dio incontrastato del blues inglese. Chitarrista venerato e irraggiungibile. Scrive la storia non solo con John Mayall ma anche e soprattutto con i Cream, insieme a Jack Bruce e Ginger Baker. Da allora il gruppo è considerato il must assoluto del rock blues di quel periodo. Poi arriva dall'altra parte del mondo un trio di fuori classe che poco ha che invidiare ai colleghi inglesi: gli Experience. Se Ginger Baker era il "batterista" per eccellenza (numerosissime esperienze in ambito jazz e blues prima dei Cream), Mitch Mitchell degli Experience era un signor nessuno con tanta voglia di fare casino. Ora, quando il gruppo di Hendrix arrivò in Inghilterra probabilmente la gente dovette ricredersi: come mai un gruppo di sconosciuti (gli Experience) suona meglio degli iperfamosi Cream?

Gli Experience erano molto più selvaggi dei Cream. Hendrix teneva gli amplificatori talmente alti che la gente usciva dai concerti con le orecchie che fischiavano. In oltre aveva una presenza scenica che tutti i Cream messi insieme non riuscivano ad eguagliare. Maltrattava la chitarra come nessuno ed era una novità assoluta: quella Stratocaster subiva più violenze di una donna stuprata. L'Inghilterra impazzì per quel trio. A conquistare il mondo ci hanno messo meno di un mese.


Nonostante questo Clapton ammise più di una volta di avere una tecnica molto più semplice di Hendrix. La stima che provava per lui era impressionante ed è curioso sentire poi Hendrix parlare di Clapton come un messia, un chitarrista grandioso, molto migliore di lui sotto tutti i punti di vista. Hendrix possedeva una modestia rara per un chitarrista che ha cambiato la storia. Clapton era più realista ma non ha mai denigrato colui che lo spodestò dal trono, se così si può dire.

Nacquero allora due scuole: il blues di Clapton e il rock di Hendrix. Il primo lasciò completamente perdere il rock esplorato nei Cream per registrare dischi sempre più belli, in bilico tra blues più viscerale e rock'n'roll più vecchio; il secondo visse i tre anni (1967-1970) più intensi che un chitarrista potrebbe mai desiderare. Registrò tre dischi storici (Are You Experienced?, Axis: Bold as Love, Electric Ladyland) e un numero enorme di live. Poi si spense proprio mentre sembrava ad un passo dal compiere un altro miracolo (il primo era Electric Ladyland). Il miracolo si chiamava Cry Of Love, uscito postumo e, purtroppo, incompleto.
Io continuo a ringraziare questi due grandi chitarristi che, anche se uno è morto, continuano a darmi emozioni che pochi altri riescono a darmi.