
De De Lind
Io non so da dove vengo e non so dove mai andrò, uomo è il nome che mi han dato
Mercury, 1973
Brutto scherzo quello che hanno fatto ai De De Lind: sciolti dopo l'uscita del primo ed unico disco per l'insuccesso commerciale, oggi sono completamente rifioriti e apprezzatissimi in campo progressive grazie all'azzeccata ristampa della major Mercury. Peccato. Se avessero avuto subito successo, e non trent'anni dopo, forse avrebbero potuto anche sfornare qualche altro capolavoro.
Comunque cominciamo dal principio: i De De Lind, milanesi, nascono in realtà nel 1969 come gruppo beat incidendo alcuni singoli di modesto successo (Anche se sei qui / Come si fa?) per poi esibirsi in concerti e manifestazioni del beat italiano. Nei due singoli successivi (Mille anni / Ti devo lasciare, 1970; Signore dove vai? / Torneremo ancora, 1971) cambiano già sonorità, abbandonando il beat degli esordi a favore di un rock decisamente più cruento, perfettamente in linea con le tendenze del momento. I singoli vanno piuttosto bene ma si dovrà aspettare il 1973 per l'uscita discografica vera e propria, un gioiello elevato a capolavoro del genere progressive, che corrisponde al nome chilometrico di Io non so da dove vengo e non so dove mai andrò, uomo è il nome che mi han dato. Come dicevo nel 1973 il disco non ebbe grande successo, il loro prog intimista e malinconico non aveva, a quanto pare, lo stesso mordente dei "fratelli maggiori", la Premiata Forneria Marconi e del Banco del Mutuo Soccorso.
Tuttavia, ora che la Mercury ha ristampato l'LP è possibile acquistare questo splendido disco ad un prezzo modico e non più alle cifre astronomiche da collezionismo.
I De De Lind, mi preme dirlo, sono a loro modo unici. A differenza degli altri illustri colleghi, il loro pregio sta nell'aver unito (prima di tutti specifico) l'hard rock alle architetture del progressive. Le chitarre "pesanti" del rock più duro, difficilmente trovavano spazio nel progressive (la PFM effettivamente non ci andava leggera in quanto a chitarre, ma qua si parla di riffoni duri alla Black Sabbath). Il caso più notevole è sicuramente la splendida suite che apre il disco, Fuga e Morte, un fantastico brano che sembra l'incontro ideale delle atmosfere melanconiche dei Sabbath e i passaggi acustici di Aqualung dei Jethro Tull. Vi sono infatti interessanti passaggi di chitarra acustica e flauto (Gilberto Trama) in mezzo alle sfuriate elettriche dell'ottimo chitarrista Matteo Vitolli. Un sound intimista che riflette in pieno il crepuscolarismo del testo (correvo per sentieri, per strade senza fine, regnava nero il buio, compagno era il mio affanno, cercai di dare un grido ma ormai ero già morto). Un azzeccato intervento di sax elettrico (sax effettato con un pedale da chitarra, geniale!) fa cominciare il secondo brano, Indietro nel Tempo, e poi Paura del Niente, a mio avviso il pezzo forte dell'album, molto influenzato dal sound dei Jethro Tull. Nell'inizio l'atmosfera è ancora più nichilista (sopra una panchina, confuso tra la folla, un vecchio che pareva scolpito nella pietra), impossibile non pensare a De Andrè, sul finire invece parte un furioso pattern di batteria, con un basso incalzante e un solo di chitarra semplicemente fantastico, il tutto, come direbbe un mio amico, "decisamente prog!". Molto bella comunque la scelta di terminare il brano con un intervento solista del flauto dopo che il gruppo, nell'intermezzo strumentale, ha decisamente dimostrato di sapere il fatto suo.
Il lato B si apre con la traccia Smarrimento, continuando il percorso sonoro di Paura del Niente: un lungo intro di flauto e poi passaggi che obiettivamente non ci si aspetta, chitarre molto forti e un crescendo sonoro che non è altro che l'ingresso per un arpeggio di chitarra soffice e melodioso, base a sua volta del cantato altrettanto dolce di Vito Paradiso.
Cimitero di Guerra ha un andamento maestoso, quasi inquietante, un accompagnamento psichedelico dei migliori Velvet Underground e poi l'esplosione elettrica con un duetto di flauto/chitarra veramente bellissimo. Notevole come le parole del testo aderiscano perfettamente alla musica suonata egregiamente dal quintetto. Voglia di Rivivere presenta il testo migliore (il mio tempo se ne va con gli eroi dell'età dei giganti), brano acustico lento e sognante, sembra il congedo che invece spetta a E Poi, brano elettrico che sembra una sinfonia, sonorità decisamente più solare degli altri pezzi e il finale, un crescendo strumentale dove tutti gli strumenti si sposano alla perfezione e dove finalmente, è svelato il mistero del lungo titolo: Io non so da dove vengo e non so dove mai andrò, uomo è il nome che mi han dato.
Voto: 10/10
L'unico peccato è che i De De Lind abbiano registrato un solo album. Questo è un gioiello che qualsiasi amante del prog dovrebbe non solo avere, ma venerare!

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