
American Beauty, opera prima del regista teatrale Sam Mendes, sembra essere uscito da un vecchio romanzo di qualche scrittore alla Francis Scott Fitzgerald, quando il sogno americano era stato bello che metabolizzato, superato e quasi dimenticato. American Beauty narra le vicende più o meno tranquille di una classica famiglia americana medio borghese come ce sono tante, vicende che hanno però qualcosa di profondamente drammatico ed assolutamente comune: Lester Burnham (Kevin Spacey) ha problemi a lavoro, ha problemi con la frigida moglie (Annette Bening) e pure con la figlia (Thora Birch).
American Beauty, nel suo incedere tranquillo e assolutamente non eclatante, parla proprio, con ironia, della Bellezza (con
Quando vicino ai Burnham si trasferiscono i Fitts (padre colonnello in pensione, madre succube e passiva, figlio ribelle) la vita delle due famiglie cambia radicalmente. Il figlio ribelle dei Fitts, Ricky, silenzioso e strano, si innamora della figlia dei Burnham, Jane, perché riesce ad andare oltre il concetto stesso di Bellezza trovando l’amore puro, incondizionato; Lester Burnham si prende una cotta per l’amica della figlia, Angela Hayes, la più carina della scuola, perché ha trovato, a suo modo,
L’intero film si sviluppa su questi elementi, in un intreccio tutto sommato semplice ma mai scontato. La bellezza del nome del film (che tra l’altro è una qualità di rose, quelle che cadono sul corpo nudo di Angela, nei sogni di Lester e un disco dei Grateful Dead del 1970) è la costante di tutte le storie, perché è semplicemente questo che i personaggi cercano, niente più: il concetto assoluto di Bellezza in ogni sua variante o accezione. Non è vero che non importa come arrivare a tale Bellezza, il cammino è la parte più difficile e controversa, il film ne è fulgido esempio, specie nel finale, in cui uno dei protagonisti verrà sopraffatto non tanto dalla Bellezza quanto dal suo esatto contrario, la paura, e allora lo splendido incipit del film avrà un senso: Mi chiamo Lester Burnham. Questo è il mio quartiere, questa è la mia strada, questa è la mia vita. Ho quarantadue anni, fra meno di un anno... sarò morto. Naturalmente io questo ancora non lo so. E in un certo senso sono già morto.
Vincitore di 5 premi Oscar nel 2000.

2 commenti:
Bell'analisi. A me rimarrà in testa Lester che cade sul pavimento...quell'espressione...
OT (ma neanche tanto):
Nel Torneo che ho organizzato si votano film e attori già candidati dall’Academy, con l’aggiunta della categoria Miglior film escluso e Miglior film italiano dell’anno.
Siamo arrivati ai premi quinquennali, 2000 – 2004, ma ogni settimana si votano gli Oscar veri e propri, e ci sono ancora dei questionari aperti.
Il link è questo:
http://iltorneodeglioscar.blogspot.com/2010/02/oscar-del-quinquennio.html
grazie!
Ho visto il torneo, bell'idea davvero, ho cominciato a compilare qualcosa ;)
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